I giocatori di calcio hanno troppi impegni sportivi e giungono a fine campionato stanchi, depressi e tristi. Non è giusto. Mario Rossi ogni giorno va al lavoro, da 35anni (e forse più) è costretto a lottare contro il mondo per sopravvivere. Lui non può mai essere «stanco», è un lusso non concesso. E se per un giorno invertissimo i ruoli del pendolare modello e del campione di calcio?
Monster's Blog
Scritto da webmonster il 13/04/12
Arriva la primavera e puntualmente i nostri calciatori (soprattutto di serieA) «sono stanchi».
Durante le partite non corrono più, sono depressi, lenti, pesanti, demotivati, senza grinta, commettono errori banali, sbagliano tutto, escono dallo stadio sotto una bordata di (meritati) fischi dei tifosi. Da campioni a brocchi, il passo è breve.
Colpa dei molteplici impegni, da settembre ad oggi hanno giocato troppo, in alcuni periodi anche una partta ogni tre giorni! E così che molti allenatori giustificano lo stato di forma (pessimo) della loro squadra e le conseguenti sconfitte.
A me non sembra giusto che sti poveri ragazzi debbano ridursi così, prima che giunga la depressione vorrei proporre loro una soluzione.
Stiamo parlando di giovani tra i diciotto (dico 18!) e trent'anni (30 capito?), milionari che si divertono giocando a calcio nei migliori stadi del mondo, davanti a platee adoranti, sponsor generosi, fans scatenati, interviste esclusive, divi ricercati dalla televisioni in ogni angolo del Pianeta, uomini che viaggiano in jet privati o - nel peggiore dei casi - in Ferrari.
Durante la settimana si allenano in centri sportivi all'avanguardia, giocano all'aria aperta, costantemente sotto controllo medico.
Eppure, dopo tanto duro lavoro, oggi sono «stanchi».
Il nostro amico Mario Rossi da trent'anni, ogni mattina si sveglia alle 6,30. Abita in periferia ove l'affitto costa meno (la banca non gli ha concesso il mutuo per l'acquisto prima-casa perché è un lavoratore atipico), alle 7,30 l'attende un treno che di puntuale ha solo l'atavico ritardo, viaggia insieme ad altri 1500pendolari frustrati (e frustati) sull'unico vagone non ancora soppresso dai tagli. In ufficio giunge già stressato, conscio che il lavoro è un lusso. L'atmosfera tra i colleghi è tesa, c'è aria di crisi ed è in atto la consueta lotta tra disperati.
Mario Rossi non può permettersi il lusso di ammalarsi, ha una carie ma finge di non averla, dovrebbe operarsi al menisco ma all'ospedale lo hanno informato di una lista d'attesa di "appena" cinque mesi.
Mario Rossi, nonostante tutto, è felice.
E' dotato di una profonda autoironia e affronta i problemi con leggerezza, una gran virtù in questi tempi difficili. Il giorno in cui il medico gli comunicò l'aut-aut: «o ti operi al ginocchio o appendi le scarpette al chiodo», lui ha risposto col sorriso sulle labbra: «e chi sono io Cavani?»
Spesso - per comprendere le esigenze altrui - è utile il cosiddetto «scambio dei ruoli»: se il marito non capisce le problematiche della moglie (e viceversa), per un giorno si provi ad invertire le parti: lui fa la moglie (con i relativi ingrati compiti), lei il marito. A fine giornata la coppia sicuramente avrà percorso un passo in avanti nella reciproca comprensione.
Allora, come in un reality show, vorrei che Mario Rossi per un lungo interminabile giorno prendesse il posto di Cavani ed il campione uruguaiano sostituisse il nostro amico nella sua lotta quotidiana.
Mi chiedo incuriosito: Mario Rossi riuscirà a comprendere ed aiutare Cavani?