Sono consapevole, in questi giorni afosi l'Italia è attraversata dall'anticiclone subtropicale Ulisse e la nazione è impegnata a cercare refrigerio nei centri commerciali (sempre affollati), un posto all'ombra dove parcheggiare l'auto, discutere sull'umore dello spread, comprendere e consolare la Federica Pellegrini rea di non aver vinto l'ennesima medaglia olimpica.

Certamente il flop della nostra mancata portabandiera è questione di notevole importanza visto il periodo di crisi che stiamo attraversando: magari è una difficoltà passeggera dovuta ai troppi pavesini ingurgitati oppure la ragazza è semplicemente inquieta per qualche bolletta dell'ENEL non pagata.

Sta di fatto che noi, comuni telespettatori, attendiamo con trepidazione la sera quando Ulisse finalmente si placa e possiamo goderci lo spettacolo olimpico: fuori ai balconi trasformati in panoramiche verande cittadine, pancia all’aria ci gustiamo una bella fetta d’anguria mentre guardiamo gareggiare i nostri eroi. Esultiamo insieme al nostro dirimpettaio seminudo, all’impavido ciccione in canottiera del palazzo difronte: la città, una grande tribù.

Poi la gara termina, la dea-Pellegrini non vince, la regina è visibilmente triste, mestamente dichiara: «così non posso andare avanti, ho bisogno di un anno di pausa».

E a noi, il teleutente olimpico modello, quel volto ben curato, quei capelli bagnati dalla fatica, gli occhi malinconici della campionessa sconfitta trasmettono un sentimento di benevolenza.

Vorremmo esserle vicina, abbracciarla e gridare: «forza Federica, non ti deprimere, è solo una gara, domani avrai modo di riscattarti. In fin dei conti, ti chiediamo solo di nuotare, dare il massimo e se non vinci non è una tragedia, la sconfitta fa parte dello sport. Sorridi però! Ai problemi, quelli veri, non ti preoccupare, ci pensiamo noi: siamo i tuoi connazionali che, con la buccia di anguria ancora in mano e la bocca insevata, dai nostri balconi tutti insieme tra uno spot e una gara, siamo davanti la TV per incoraggiarti».