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Davvero lo storico Museo Campano di Capua rischia la chiusura?
L’allarme lanciato delle guide è surreale.
Un luogo che conserva la collezione delle “Madri” – statue millenarie raffiguranti le donne con la prole – meriterebbe ben altre prospettive.
Invece, in questa prima mattina di marzo, con l’ingresso gratuito e la visita teatralizzata organizzata dall’Associazione Damusa aps, il museo non è (purtroppo) tutto esaurito.
Mi sarei atteso il pienone.
Purtroppo constato che il nostro gruppo – BeTime, l’Università del tempo libero più Damusa – attraversa le sale senza incrociare altre comitive di turisti.
Ascolto Pulcinella-guida spiegare i quadri dell’800 e le monete coniate a Capua – unica città dell’impero romano ad avere una propria moneta – e registro uno strano turbamento: la location è magnifica ma trasmette una sensazione di solitudine.
La passeggiata tra la Storia risulta vivace grazie alle spiegazioni degli attori-guide ma trovo l’ambiente austero.
Freddo.
Il freddo percepito in quelle case che, da troppo tempo, non vedono la luce.
Vorrei aprire le grandi finestre del museo, far entrare il calore del sole e la freschezza dell’aria.
Cancellare l’umidità con le risate dei bambini alle battute di Pulcinella.
Colorare le pareti per trasformare il museo in un luogo vivo.
La visita termina tra gli applausi.
Grazie al lavoro delle associazioni, per due ore il Museo Campano di Capua torna a risplendere di entusiasmo, curiosità, stupore, gioia.
Non credo rischi davvero la chiusura.
Sicuramente, però, il Museo vige in uno stato di immeritata sottovalutazione.
Bella la Galleria Principe di Napoli!
se fosse aperta
La Galleria Principe di Napoli, un gioiello nel cuore di Napoli!
se si potesse visitare
La Galleria Principe di Napoli rappresenta la nostra paradossale città: magnifica e decadente, pronta a rialzarsi dopo l’ennesimo schiaffo e, subito dopo, di nuovo a terra, offesa ed umiliata.
Ogni giorno, per recarmi al lavoro, la costeggio in bici.
Dalla sella, l’osservo deluso.
Quel cancello sbarrato è l’icona del fallimento, la farraginosa burocrazia contro la bellezza.
E pensare che, proprio di fronte, sorge l’imperioso Museo Archeologico Nazionale di Napoli che attira visitatori da ogni angolo del mondo.
Per la posizione strategia, la Galleria Principe di Napoli chiusa è il benvenuto ideale per il turista entusiasta.
L’opera abbandonata mette subito in chiaro come funziona da queste parti: l’arte trionfa in ogni angolo di Napoli ma a noi, cotanta bellezza, non interessa.
Anzi, la maltrattiamo.
Chiudiamo i cancelli – per la sicurezza, ovvio – invece di riparare velocemente il danno.
Speculiamo sul restauro invece di restituire, il prima possibile, il monumento ai cittadini.
Se non ricordo male, i lavori per la messa in sicurezza della galleria terminano e, poco dopo, una tempesta primaverile – nel maggio del 2018 – provoca la caduta dei calcinacci e la nuova chiusura.
A distanza di mesi, la Galleria Principe resta inagibile e non vedo operai al lavoro.
La mattina quando vado in ufficio, al ritorno quando rientro: nessuna opera di restauro in corso.
Osservo sbigottito i calcinacci depositati in un angolo, la polvere sul largo pavimento della Galleria, un triste catenaccio imprigionare l’arte.
La buona notizia giunge dalla web tv del Comune di Napoli: il Sindaco De Magistris afferma che presto la Galleria Principe riaprirà al pubblico.
Bene!
Data della dichiarazione: 24 gennaio 2019.
Attendiamo fiduciosi.
Umberto I
per grazia di Dio e per volontà della nazione Re d’ItaliaIl Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato
noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segueARTICOLO I la tomba del poeta GIACOMO LEOPARDI è dichiarata monumento nazionale
ARTICOLO II Il Governo provvederà alla conservazione ed alla custodiaOrdiniamo che la presente munita del sigillo dello Stato sia inserita nella raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
Data a Roma ADDI IV LUGLIO MDCCCXCVII
UMBERTO
La stele, incisa sulla pietra, risale al 1897 e porta l’autorevole firma di Vittorio Emanuele III.
Così, dopo aver visitato il sempre caro mi fu quest’ermo colle a Recanati torno sulla tomba di Giacomo Leopardi, nella mia città.
A pochi metri dalla stazione di Mergellina, nei pressi dell’infernale galleria delle Quattro Giornate, un piccolo cancello semichiuso nasconde un luogo mistico: il parco Virgiliano a Piedigrotta.
E’ un sabato mattina (gennaio), finalmente il sole riscalda gli animi.
Supero l’entrata, entro con cautela.
Nel parco sono solo.
Osservo le piante ben curate, i giardini ordinati, le didascalie lungo il percorso.
Il silenzio ed i colori mi catapultano in un luogo lontano, rilassante, piacevole.
Inizio la dolce salita, oltre i binari di Mergellina intravedo il fascino blu della Sirena Partenope.
Scruto dettagli, scatto foto mentre il piccolo cancello semichiuso tieni fuori da questo angolo il caos e lo smog della città.
Dopo un paio di curve, si erge la maestosa tomba di Giacomo Leopardi.
Un monumento impressionante protetto da una grotta di tufo.
La lastra funeraria firmata da Vittorio Emanuele III dimostra la veridicità del monumento.
Colpito dall’imponenza dell’opera, osservo basito (e soddisfatto).
Un gruppo di turisti francesi sale lungo il sentiero.
Con lo sguardo verso l’alto, squadrano il parco, restano meravigliati dalle grotte, fotografano il mare in lontananza.
Dopo aver reso omaggi al Poeta, ci arrampichiamo lungo i gradoni che ci portano su, in una esigua terrazza.
Guardiamo l’orizzonte azzurro e la profonda gola che entra nella collina (una grotta chiusa per restauro).
Questo piccolo luogo pubblico (gratuito) è ricco di gioielli nascosti, da scoprire con un po’ di pazienza e curiosità.
Meglio se accompagnati da una guida.
E armati con una buona macchina fotografica.
Anche stavolta, cedo alla tentazione blu.
La Sirena Partenope seduce, per il viandante non c’è scampo.
Lo stesso dolce destino tocca allo straniero di turno.
Nessuno sfugge al richiamo, nonostante tu l’abbia già vista mille volte, ogni volta ti abbandoni al suo fascino eterno.
Eppure, mentre osservo l’immortale bellezza blu, mi chiedo perché l’uomo resti conquistato dall’immensità del mare.
Dovrei porre la domanda ad un filosofo.
Oppure ad uno dei tanti pescatori che trascorre la sua esistenza tra le onde.
Il maltempo dei scorsi giorni ripulisce l’aria.
In lontananza intravedo Capri, cerco di catturarla nel piccolo obiettivo dello smartphone.
A destra, Castel dell’Ovo – la sentinella di Napoli -, a sinistra la collina di Posillipo.
Il solito, magnifico quadro visto e rivisto in mille scatti colorati.
Ma questa mattina di fine gennaio, la cartolina mi appare, ancora una volta, diversa.
Dalla tasca, afferro lo smartphone e fotografo.
Il fascino della Sirena Partenope, dopo duemila anni, seduce ancora.
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Cerco la miglior posizione per la foto di rito.
Piazza dei Miracoli pullula di turisti giunti da ogni angolo del Pianeta.
Con le mani ferme per aria, alla ricerca della giusta distanza, sostengono la torre.
Ognuno è convinto della propria tecnica: c’è chi sovrappone le mani di fianco la torre, chi si stende pancia all’aria per sorreggere il monumento dalla base, chi si piega sulle ginocchia e finge uno sforzo per non far cadere la torre da un lato.
Alcuni preferiscono lo scatto nei pressi del monumento, altri si allontanano per sfruttare la prospettiva.
La pendenza stimola la fantasia, tutti alla ricerca della foto perfetta.
La prima fila è occupata dall’organizzatissimo esercito di giapponesi.
Con disciplina, attendono che si liberino le migliori posizioni occupate dai connazionali con gli occhi a mandorla per immortalare la torre pendente.
I professionisti, dotati del piedistallo.
I più giovani, alzano al cielo lo smartphone agganciato all’asta pakistana, un sorriso per il selfie d’ordinanza da condividere in tempo reale via social.
La massa di turisti – compreso il sottoscritto – è attratto proprio dal difetto che rende unico il monumento.
Se la torre di Pisa fosse dritta, piazza dei Miracoli si ridurrebbe ad uno de tanti magnifici luoghi d’arte italiana.
La torre verrebbe ricordata come «il campanile della cattedrale di Santa Maria Assunta» ma non sarebbe presa d’assalto come oggi.
«La pendenza è dovuta a un cedimento del terreno sottostante verificatosi già nelle prime fasi della costruzione»
Mi pongo una domanda: la curiosità per la torre pendente, stimola i visitatori a studiare anche la storia dell’intero complesso?
Oppure ci si limita ad osservare senza approfondire?
Tra una riflessione ed un sorso d’acqua, con pazienza sfrutto un varco tra la folla di turisti e – finalmente – giunge il mio turno: pochi istanti ed immortalo la torre di Pisa!
La trasferta toscana termina.
Torno a Napoli con la risposta che cercavo: la torre, meglio se resta pendente 🙂
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Francolise e Valogno sono due granelli di sabbia sulla cartina della Campania.
Ma, le due micro-realtà in provincia di Caserta, raccontano storie speciali.
Che vale la pena conoscere.
Perché questi piccoli centri, grazie alla determinazione di alcune persone, rappresentano un importante baluardo contro il degrado.
A Francolise, il Gruppo Archeologico Falerno-Caleno, richiede alle autorità competenti l’affidamento della villa romana di San Rocco.
Il Gruppo Archeologico Falerno Caleno, conduce una intensa attività di valorizzazione e fruizione della villa romana in località San Rocco (Francolise)
A Valogno, il prof. Giovanni Casale fa rinascere il borgo dimenticato tramite l’arte.
Per comprendere l’importanza dei volontari di Francolise e del vulcanico professore di Valogno, ragiono al contrario: se non fossero intervenuti, questi due luoghi, oggi, cosa sarebbero?
L’incuria e l’indifferenza avrebbero mangiato i resti della magnifica villa romana di Francolise.
Il borgo di Valogno sarebbe disabitato e prossimo a divenire un paese fantasma.
Invece, con l’azione diretta di queste donne e uomini, a Francolise è possibile visitare gli importati scavi romani, a Valogno passeggiare per il borgo in compagnia degli ottantanove abitanti, osservare i quarantacinque murales che ornano il paese, partecipare al pranzo condiviso organizzato dalla signora Dora – la moglie del professore Giovanni.
L’arte contro il degrado, Francolise e Valogno confermano l’idea vincente: la cultura e l’esempio diretto sono le migliori armi per fermare il degrado (morale e non).
Il sottoscritto registra in tre minuti di videoclip l’entusiasmo dei volontari di Francolise e gli ideali del professore di Valogno.
Grazie a BeTime, l’Università del tempo libero, sono felice di aver scoperto due angoli nascosti della nostra Campania dove, i soliti «mostri», stavolta, sono stati respinti.
«Questo luogo dovrebbe essere visitato da migliaia di turisti ed invece …» è l’amara riflessione che scaturisce mentre osservo, dal piccolo schermo della mia Handycam, la bellezza ferita del real sito di Carditello
Sono con Be Time, l’Università del tempo libero, alla scoperta di luoghi d’arte, tra cultura e divertimento.
Oggi siamo tra le campagne di Casal di Principe e la mitica Capua, in quella che fu la riserva di caccia di Carlo di Borbone.
Al sottoscritto il compito di catturare la giornata in un video di tre minuti.
Stanca, rassegnata, innocente, invasata
Nuda, svergognata, tradita, condannata
Ma è la mia città
Sporca, avvelenata, incivile, incendiata
Sempre affollata, devota, ammutinata
Sui resti di un affresco del 1700 noto una volgare incisione, due iniziali di uno dei tanti «mostri» che, nel tempo, ha violentato questo sito meraviglioso.
Due incisioni, come quelle sigle degli innamorati sui tronchi degli alberi.
Resto sbigottito.
Il real sito di Carditello, nel corso degli anni, ha subito furti e razzie.
Ciò che resta oggi, testimonia la magnificenza di questo luogo.
Grazie ai volontari dell’associazione Agenda 21 Carditello e Regi Lagni, da qualche anno è possibile visitare parte del monumento.
E’ un inizio, il cambio del trend, la speranza.
Ma domani chi lo sa
Vedrai che cambierà
Magari sarà vero
Ma non cambierà mai niente
Se ci credo solo io
Mentre registro ho ben chiara la colonna sonora: le immagini del real sito di Carditello scorreranno accompagnate dalle parole di Edoardo Bennato.
Perchè questo luogo ben rappresenta il paradosso nostrano: ciò che potrebbe essere ma non è.
Il real sito di Carditello sembra stare lì per ricordare a tutti noi l’eterno dilemma
italiano, un paese ricco d’arte che disprezza l’arte, incapace di tutelare i propri tesori, in balia della burocrazia malata e del disinteresse generale, depredato dai delinquenti comuni e dalla criminalità organizzata.
Però. il real sito di Carditello, ci dimostra pure che una realtà diversa è possibile.
Se ci crediamo tutti.
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Mario Monfrecola, il webmonster.
Sono nato a Napoli nel 1970, laureato in Matematica ed Informatico di professione, da sempre appassionato di tecnologia ed Internet, di sport e di ecologia, di cinema e libri ...
Mi piace mischiare le mie passioni e da questi minestroni nascono progetti come faCCebook.eu
Alla continua ricerca di «mostri» da denunciare.
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